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Schioppettino, storia di un vino fuori legge

  • Immagine del redattore: M. Elisabetta Perri
    M. Elisabetta Perri
  • 1 giorno fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 12 ore fa

Lo schioccante nome di un vitigno autoctono friulano, denominato in origine Ribolla Nera, oggi riconosciuto come una delle varietà a bacca rossa più identitarie del Friuli, insieme a Pignolo e Refosco dal Peduncolo Rosso.


Acini in maturazione di un grappolo di uva Schioppettino, varietà autoctona dei Colli Orientali del Friuli, areale di Prepotto

Il suo nome -"Scopp" in dialetto friulano - ha un fascino onomatopeico irresistibile, capace di evocare per l’appunto una piccola esplosione, un colpo secco. Quanto alla sua etimologia, due sono le interpretazioni più accreditate: la prima rimanda alla croccantezza degli acini, dalla buccia tesa e spessa, capaci di schioccare fragorosamente in bocca durante l’assaggio. La seconda ipotesi richiama le pratiche contadine di un tempo: lo Schioppettino veniva imbottigliato molto presto, a pochi mesi dalla vendemmia e senza lunghe soste in cantina. Con l’arrivo della primavera e delle temperature più miti, la fermentazione malolattica spesso riprendeva vigore, liberando abbastanza anidride carbonica da far saltare il tappo. Un piccolo botto, inatteso ma frequente, che ha lasciato un segno nel nome e nella memoria del vino.


Eppure, nonostante la sua storia antica, all’inizio degli anni ’70 il vitigno era quasi del tutto scomparso. L’abbandono delle campagne e la sospensione delle lotte antiparassitarie durante le due guerre mondiali aveva favorito non solo il diffondersi delle principali malattie della vite, ma anche il ritorno della temuta fillossera, che riprese a propagarsi in modo capillare nei vigneti friulani.

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Al termine dei conflitti il problema più urgente fu dunque la ricostruzione dei vigneti tramite viti innestate. E la selezione cadde sulle più rinomate varietà francesi, tedesche e piemontesi, trascurando così i vitigni autoctoni, che finirono relegati in un angolo buio della memoria agricola. Di conseguenza, fino a pochi decenni fa lo Schioppettino era coltivato da pochissimi produttori e in quantità davvero esigua. Esisteva, ma veniva colpevolmente ignorato, tanto da non comparire nemmeno nella lista dei vini DOC dei Colli Orientali del Friuli: quando nel 1970 venne riconosciuto il disciplinare di produzione della zona, tra i vitigni ammessi a godere dei favori di legge lo Schioppettino non figurava. La sua esclusione proseguì anche a livello europeo, dove non rientrò tra le viti autorizzate o raccomandate alla coltivazione. Fu dunque incidentalmente dichiarato “fuori legge”: il decreto Andreotti, Leone e Marcora sanzionava i viticoltori con lire 200.000 per ogni ettaro di vigneto piantato a varietà proibita. Un paradosso che oggi appare quasi letterario.

Nel frattempo, sulle colline di Cialla, a nord-ovest di Prepotto, la Famiglia Rapuzzi lanciò una sfida che segnò il destino di questo vino: il recupero di una varietà ormai in via di estinzione, la cui coltivazione risultava per di più interdetta. Grazie al prezioso aiuto di Bernardo Bruno, allora sindaco di Prepotto - profondo conoscitore delle aree dove individuare le viti superstiti all'interno del territorio comunale - nel 1972 fu possibile mettere a dimora un primo impianto di appena 2 ettari, segnando così l’inizio della rinascita dello Schioppettino. Come riconoscimento di tanto lavoro e lungimiranza, ai coniugi Rapuzzi nel 1976 venne assegnato il premio Risit d'Aur (Barbatelle d'Oro), durante la sua prima edizione, da parte delle Distillerie Nonino per "... aver dato razionale impulso alla coltivazione, nel suo habitat più vocato in Cialla di Prepotto, dell'antico prestigioso vitigno autoctono Schioppettino, di cui assurde leggi ne hanno decretato l'estinzione…".  In giuria c’era anche Luigi Veronelli.Oggi, a distanza di quarant’anni, lo Schioppettino è un vino tutelato e promosso da un'associazione di produttori. Nel 2008 infatti ha ottenuto il riconoscimento di un proprio cru: la sottozona Schioppettino di Prepotto della DOC Friuli Colli Orientali, che prevede un disciplinare di produzione più restrittivo, (rese più basse e almeno dodici mesi di affinamento in legno).Prepotto resta il contesto geografico di elezione per la sua coltivazione, sebbene il vitigno sia oggi rintracciabile in maniera sporadica in tutta la media collina friulana, oltre che in una parte di territorio un tempo italiano che oggi si trova in Slovenia. Qui si distingue un microclima particolarmente favorevole: le Prealpi Giulie riparano dai venti freddi del nord, mentre il vicino mare Adriatico, a meno di quaranta chilometri, addolcisce le temperature. È un raro punto di equilibrio, sospeso tra il mare e la Mitteleuropa, dove il contrasto tra giornate calde e notti fresche crea quelle escursioni termiche che esaltano la complessità aromatica dei vini.Mario Soldati lo intuì nel 1970, quando visitò questi luoghi durante le ricerche per la stesura del libro Vino al vino. Vide pochi ettari, avvertì l’eco preziosa di ciò che stava svanendo e scrisse parole che oggi risuonano quasi profetiche:

"Un vino rarissimo. Lo si pigia, con uve del suo vitigno, soltanto ad Albana di Prepotto, ancora in provincia di Udine, proprio al confine con la provincia di Gorizia sulle rive dello Judrio. Ogni cosa, intorno, nella solitudine, nel silenzio, e nella grazia suprema come di una vita che c'era e che sta per abbandonare questo angolo di terra, si accorda magicamente al profumo, al gusto della rarità dello Schioppettino. Né la sua minima produzione né il suo infinitesimale consumo potranno mai persuadermi ad apprezzarlo meno".

Un vitigno sopravvissuto per ostinazione, passione e puro spirito di frontiera.

Un vino che, da proibito, è tornato a farsi emblema del suo territorio. Con quello stesso, inconfondibile “schiocco” che continua a risuonare nella sua storia.


Schioppettino, varietà di uva autoctona italiana del Friuli Venezia Giulia, riferito all'ereale di produzione di Prepotto, una sottozona della DOC Colli Orientali del Friuli

 


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